P.S. (Pensieri Sparsi): Cercasi titolo disperatamente.

La redazione di Mediakey mi ha chiesto di scrivere un intervento che introduca la sezione della rivista che si occupa della stampa. Si tratta di quel tipo di articoli che non legge quasi nessuno e che in realtà serve a gratificare l’ego del direttore creativo di turno. Comunque, dato che ormai l’ho scritto, lo posto in anteprima su mizioblog.

La stampa è sempre stata considerata un mezzo subalterno alla tv, ma in compenso era un media nobile, utile per comunicare alle persone dal profilo più elevato. Oggi non è più così. Anche se buona parte della popolazione si sta disaffezionando alla tv, la stampa non riesce ad attirare questo esodo. Tutti coloro che rinunciano ad accendere il televisore oggi non aprono una rivista, ma si mettono davanti a un computer per navigare su internet. Sul cambiamento delle abitudini delle persone, nonché sulla carenza di fascino che essa esercita nei loro confronti, la stampa non ha responsabilità: nessuno può fermare il progresso. Resta però il fatto che il target evoluto, che una volta componeva il nocciolo duro e rappresentava l’orgoglio della carta stampata, oggi la pubblicità lo vada a cercare su internet. La conferma è la crescita a doppia cifra del web negli ultimi anni. Da questa analisi la stampa sembrerebbe uscirne proprio male, come un animale in via d’estinzione (di quelli che sai che ci sono ma che non sai tanto bene a cosa servano). Perché se la televisione ha, e avrà sempre, il predominio sul target allargato e internet sta conquistando quello evoluto, la stampa chi può mai attirare? Sono convinto che la stampa, e di conseguenza la creatività su questo mezzo, debba ripartire da quelle che sono le sue caratteristiche peculiari. E la stampa è fatta per la lettura. Importanti quotidiani internazionali hanno annunciato che presto rinunceranno all’edizione cartacea per essere presenti solo sul web, ma avete mai provato a leggere un articolo un po’ lungo sul computer? Fastidioso. Il web va bene per spizzicare un titolo qui e lì, ma è la stampa il terreno privilegiato per la lettura, da sempre. Anche se di questo sembra che noi pubblicitari ce ne se siamo dimenticati. Negli ultimi anni, infatti, prima abbiamo eliminato dagli annunci la body copy (ormai presente solo per descrivere caratteristiche tecniche di prodotto) e poi i titoli. E non perché i fruitori del mezzo ce lo avessero chiesto, ma solo per un fatto estetico. Il risultato è che generazioni di copy italiani sono cresciuti con il mito dell’assenza del titolo e in meno di dieci anni abbiamo messo da parte gli insegnamenti di ottimi copywriter come Pasquale Barbella, Emanuele Pirella, Pino Pilla, Annamaria Testa e Sandro Baldoni. Sono anni che non vedo un annuncio con un titolo degno di nota e, devo ammetterlo, anche in me la voglia di scrivere un titolo brillante è stata latitante per molto tempo. Ma oggi la voglia è tornata. Sia di leggerlo sia di scriverlo. E sono convinto che se titoli di buona qualità torneranno a essere scritti nei nostri annunci, i lettori di riviste e di quotidiani saranno i primi ad apprezzarlo.

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