Lockdown: apriamo il cervello, chiudiamo Facebook.

Scrollando il feed di Facebook si scopre che non esiste un singolo italiano che non sappia esattamente cosa andrebbe fatto per affrontare questa pandemia, soprattutto cosa andrebbe chiuso e cosa no.

Io non ho le stesse incrollabili certezze, ma di una cosa sono sicuro: la cosa che sarebbe meglio chiudere in questo lockdown è Facebook.

Partiamo dagli amici: i cosiddetti “amici” che ho solo su Facebook sono mediamente molto più stupidi di quelli che conosco personalmente. E non credo che la cosa valga solo per me. Perché su Facebook è facile accettare amicizie, solo che poi ti restano lì per sempre. Nel senso che lo zio ottuso e negazionista lo elimini piano piano dalla tua vita (basta non passarlo a trovare e non telefonargli più), mentre l’amico scemo di Facebook continua a comparirti sul feed con le sue teorie superficiali e strampalate.

Un’altra cosa insopportabile di Facebook è che ormai tutti si credono influencer, ignorando il fatto che l’algoritmo di Facebook distribuisce i contenuti a volumi di pubblico tutt’altro che ferragneschi (meno del 2%), quindi se hai già quattro follower in croce alla fine parlerai solo a te stesso. E poi c’è un’invasione di motivatori e di personal coach improvvisati, tanto che il feed di Facebook sembra diventato il cestino dei cartigli dei Baci Perugina. Nessuno si pone la semplice questione: se davvero sei così sicuro di te stesso da insegnare agli altri come vivere, perché sei così insicuro da cercare conferme su un social network che distribuisce like a tutti?

L’informazione su Facebook è un altro tasto dolente: i contenuti pubblicati sono sempre di più appartenenti alla categoria fake news, perché ormai è chiaro che la maggioranza delle persone sono superficiali: non si leggono più gli articoli per approfondimento, ma solo per trovare conferma alle proprie tesi. Giuste o assurde che siano.

Nessuno mi toglie dalla testa l’idea che questo imperante “negazionismo” e “complottismo” è esploso grazie a Facebook. Perché Facebook ha livellato tutto: ognuno può dire la sua. Non importa il livello d’intelligenza, d’istruzione e nemmeno il livello d’approfondimento dei contenuti.

Anche per questo, un altro fenomeno preoccupante e in ascesa è quello del click-bait. Articoli con titoli sensazionalistici che, una volta cliccati, riportano a contenuti inutili o che non c’entrano niente con l’argomento. Nato come fenomeno per migliorare le statistiche dei siti trash, e quindi per guadagnare sulla pubblicità, il click-bait ha oggi conseguenze ferali sulle opinioni delle persone. Siccome come ho già scritto la stragrande maggioranza di chi frequenta Facebook è superficiale, quasi nessuno clicca sui link e legge gli articoli; i titoli servono solo per confermare le proprie tesi più bizzarre. Esattamente come le fake news.

Una cosa buona Facebook l’ha fatta, perché ho notato che tutti sono diventati esperti di tutto (questa è ironia). Nei gruppi ci si ritrova a discutere alla pari con gente che ha un centesimo di esperienza professionale rispetto a te. E dal passato lockdown si sono moltiplicati i post promossi di corsi online o i di libri che promettono di insegnarti in una settimana quello che hai imparato in trent’anni di lavoro.

È evidente che Facebook, nato con la promessa di migliorare il mondo grazie alla condivisione, sta diventato sempre più nocivo. E lo diventa sempre di più ad ogni lockdown. Basta immaginare milioni di persone arrabbiate e frustrate, magari anche disoccupate o inoccupate, che continuano a scrivere cazzate, oppure continuano a leggere titoli che sintetizzano cazzate solo per convincersi che le cazzate che hanno scritto prima non sono cazzate.

Tutto questo per annunciare che ho deciso di mettere Facebook in quarantena fino al 3 dicembre (o fino alla fine di questo lockdown), e vi consiglierei di fare altrettanto. Continuerò a bazzicare Instagram perché, anche se è il social della vanità, lurkare un po’ di foto patinate e vite finte è alquanto innocuo ed è comunque meglio di avvelenarsi il sangue con leghisti, negazionisti, complottisti, deficienti e affini.

Se poi volete passare con me questo periodo di rehab da Facebook, solo per questo periodo limitato (affermazione tipo televendita), ho aperto un gruppo su Telegram che si chiama FBLockdown. Qui.

Perché su Telegram? Perché al contrario di Whatsapp non appartiene a Facebook e, anzi, è assolutamente indipendente. Inoltre ha buone funzionalità, è attento alla privacy e non ti succhia i dati come Whatsapp. Soprattutto è un test per vedere se è ancora possibile condividere pensieri e informazioni con altre persone intelligenti. Un po’ come era Facebook all’inizio.

Ci risentiamo a dicembre (se tutto va bene).

Comment (1)

  1. Marcello Sgarbi

    Sai che ti stimo molto, Maurizio. Proprio in merito a fb, ho parlato di te in una rubrica sulla mia pagina: “Piccolo spazio pubblicità”. Niente pretese, eh? Solo per dare un pò di attenzione a un mondo che conosco, perché ne ho fatto parte. Condivido parecchie delle tue osservazioni, però non demonizzo fb. E te lo dice uno che per formazione sta ai social come Vittorio Sgarbi sta all’educazione. Cionostante, sono profilato anche su Instagram e LinkedIn. E sono anche su Telegram, quindi non è escluso che segua il tuo suggerimento. Magari il concetto è scontato, ma penso ancora che fb (come altre creature della tecnologia) sia uno strumento: dipende dall’uso che ne fai. Personalmente – e lo puoi capire da un post sulla mia pagina – mi ha permesso per esempio di incontrare di nuovo amici (veri!) ex studenti come me dell’Istituto d’Arte di Cantù negli anni Settanta (per la cronaca, io sono del ’58). In ogni caso, se permetti condivido.

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