Dall’open space all’empty space.

Sembra trascorsa una vita da quando passando davanti a una qualsiasi agenzia di pubblicità era possibile vedere almeno un paio di finestre illuminate, a qualsiasi ora del giorno e della notte e durante qualsiasi giorno della settimana, sabato e domenica compresi.

E invece sono passati solo 7 mesi.

Solo 7 mesi fa era impossibile immaginare che un settore come quello della comunicazione potesse rinunciare all’abitudine cronica di scambiare l’ufficio come luogo esclusivo in cui passare l’esistenza. Un posto in cui lo straordinario diventava qualcosa di ordinario, mentre una cosa ordinaria come tornare a casa dopo le canoniche otto ore di lavoro era una cosa giudicata da tutti realmente straordinaria.

Ma dove non sono riusciti né la fine dello yuppismo più spinto né la progressiva diminuzione dei compensi nel settore, è riuscita una simpatica pandemia.

Tutte le agenzie di pubblicità si sono fermate a marzo, convertendosi allo smart working (anche se sarebbe più corretto definirlo telelavoro), e le poche che hanno riaperto gli uffici a settembre continuano a contingentare attentamente le presenze in attesa di vedere cosa succederà nei prossimi mesi. Resta il fatto che dove ieri c’erano enormi open space oggi ci sono tristi empty space, tanto che si potrebbero organizzare dei tour guidati come a Pompei per visitare i posti in cui si celebrava la vita d’agenzia: qui è dove i creativi facevano le due di notte per un pitch creativo contro altre dodici agenzie, qui è dove gli account inoltravano mail per ventiquattr’ore al giorno, qui è dove i junior giocavano a biliardino allungando così di un altro paio d’ore le loro già infinite giornate, qui è dove i manager tiravano strisce per continuare a essere performanti nonostante tutto.

Il lockdown ha costretto ogni settore a cambiare i suoi modelli organizzativi, ma per il nostro ha comportato una vera e propria rivoluzione, perché la maggior parte di noi aveva la ferma convinzione che per ottenere risultati di qualità fosse necessario vivere in agenzia. Ma solo 7 mesi dopo, solo 7 mesi dopo che lavoriamo da casa o da qualsiasi altro posto abbiamo scelto, ci siamo resi conto che non è affatto così: produciamo il lavoro nella stessa quantità e qualità di prima. Che non vuol dire che la qualità dei nostri progetti sia migliorata, ma solo che le nostre modeste campagne non hanno avuto nessuna ulteriore ripercussione negativa.

Ci siamo abituati a lavorare da remoto, trovando gli adeguati supporti tecnologici, ma soprattutto trovando la giusta concentrazione anche in assenza di un capo che passi ogni due ore a romperci le palle. Insomma, nonostante la pandemia abbiamo continuato a rispettare gli impegni e le scadenze.

Ed è una cosa che ci è piaciuta.

Non solo a noi, ma anche ai manager più lungimiranti, quelli stanno iniziando a comprendere il vero potenziale dello smart working e che si sono distinti da quelli che hanno continuato a stressare la gente a ogni ora del giorno e in ogni giorno della settimana, e che hanno approfittato del Covid-19 per risparmiare facendo lavorare le persone anche in cassa integrazione (di questo argomento preferisco non occuparmi; preferirei che se ne occupasse l’Ispettorato del Lavoro). 

È impossibile prevedere cosa succederà in futuro, ma è facile immaginare che il tempo delle agenzie di pubblicità come luoghi in cui vivere 24/24 sia finito per sempre. Ogni azienda farà i suoi esperimenti e poi troverà la giusta misura tra lavoro in presenza e lavoro da remoto: arriveremo presto a un vero concetto di smart working.

Tutto bello quindi, tranne per una cosa: cosa succederà a tutti quegli uffici deserti?

Negli ultimi anni le agenzie di pubblicità avevano già subito un’evoluzione (o involuzione): da quando i clienti non hanno più voglia di venire in agenzia ma preferiscono farsi venire a trovare in azienda, molte agenzie hanno mollato il centro di Milano per zone più decentrate. E per risparmiare sui costi fissi hanno scelto mega-uffici in cui accentrare le varie sigle. Se questa poteva essere una scelta intelligente fino a un anno fa, cosa succederà adesso? Tutti i vantaggi della concentrazione si sono trasformati improvvisamente nell’impossibilità di riuscire a garantire le norme di distanziamento sociale. Un esempio per tutti: che ne sarà del Campus WPP all’ex Richard Ginori di Milano, pensato per accogliere ben 2.300 dipendenti?

Con la velocità d’azione che lo contraddistingue (d’altronde il suo motto nobiliare è Persistence&Speed), sir Martin Sorrell ha già preso la sua decisione: S4 Capital sta rinegoziando tutti gli affitti e prevede di avere in ogni città un unico building per tutte le sue sigle. Martin Sorrell, di cui potete leggere la biografia non ufficiale e non autorizzata qui, ha deciso quindi di scommettere sulla flessibilità, sicuro che le persone in futuro non vorranno passare più di tre o quattro giorni in ufficio.

Cosa di cui sono convinto anch’io. Così come sono convinto che questi cambiamenti non coinvolgeranno solo i grandi network, ma le agenzie di tutte le misure. Perché non fa differenza che tu abbia lo spazio per dieci, cento o mille dipendenti: a prescindere dal numero degli impiegati, quando i tuoi collaboratori non vogliono più venire in ufficio tutti i giorni, lo spazio si svuota in proporzione.

Quale sia la grandezza della struttura, per le agenzie di pubblicità le possibilità sono due.

La prima è quella di ridurre la metratura degli uffici, magari decentrarli ulteriormente, e organizzarsi affinché le postazioni di lavoro siano flessibili e il personale dotato di strumenti agili (server in cloud, computer portatili…). Risultato: nessuno avrà più la sua scrivania personale ma allo stesso tempo l’agenzia dovrà contribuire alle spese di una vera e propria postazione di lavoro a casa.  

La seconda possibilità è quella di conservare i vecchi uffici e sopportare i costi fissi di sempre a fronte di una presenza sempre più esigua di personale, nella speranza che a breve tutto torni nella normalità.

Non sono in grado di fare previsioni, ma se dovessi scommettere punterei sul fatto che la maggior parte delle agenzie opterà per la prima di queste possibilità, riducendo i costi ed eliminando per sempre il concetto di postazione personale.

È l’opzione più semplice e quella più conveniente per tutti.

La seconda possibilità, come tutte le soluzioni che guardano al passato, sembra a prima vista perdente, amenoché qualcuno non sia abbastanza visionario da sfruttare in modo intelligente tutti quegli spazi diventati improvvisamente vuoti.

Come? Se io fossi un visionario te lo direi, ma in realtà ho il limite di immaginarli solo per attività di formazione, conferenze oppure team building.  

E tu? Sei più visionario di me? Ti vengono cioè in mente idee brillanti su come si potrebbero sfruttare a breve tutti questi empty space?

Comments (16)

  1. Ho fatto smart working per anni, come copywriter, a partire dal 1989 quando comprai il mio primo fax. Abitando a Milano ho lavorato per anni, fra le altre, per un’agenzia di Varese, che visitavo solo ogni tanto, per un’agenzia di Brescia, addirittura per un’agenzia di Genova che non ho mai visto e di cui non ho mai incontrato di persona il titolare né altri collaboratori.

  2. L’unica cosa sensata per gli empty spaces è dotarli di nuovo significato: penso ad attività di formazione mirata oppure come luoghi di collaborazione con università, scuole, artisti… laboratori in cui coltivare nuove idee con chi non lavora nel mondo della pubblicità.

    • Esatto, un nuovo significato, bisonga però capire quale.
      Sulla formazione mi sembra che stiamo convergendo in molti.

  3. Bah, considerando l’opportunità che il “lavorodacasa” offe di dedicarsi, più o meno velleitariamente, a coltivare i propri penchant artistici, quegli spazi potrebbero ospitare esposizioni, performance, reading. Un circolo virtuoso, per così dire, che potrebbe cominciare semplicemente dalle espressioni dei “dipendenti” ma che poi potrebbe originare una richiesta da parte di artisti esterni. Per dire, eh…

    • Come spazi artistici qualche agenzia ha fatto tentativi anche pre-lockdown… mi sembra di ricordare Le Balene, TBWA…

  4. Calcio balilla . Decine di tavoli di biliardino!!! A parte tutto lavorare da casa è stupendo, solo che dopo l’adrenalinica esaltazione dei primi mesi è facile cadere pian piano nell’imbruttimento. Bisogna trasformare queglI spazi vuoti di agenzia in un posto dove voler trascorrere piacevolmente del tempo con i colleghi, per non perdere quel senso di appartenenza. Quindi si a una ludoteca con tanto di superbar dove magari fare brain-storming o pianificare i progress

    • Sto raccogliendo testimonianze differenti: chi non tornerebbe più indietro e chi, per situazioni familiari delicate o mancanza di spazio, non vede l’ora che tutti ritorni alla normalità. Io più che la trasformazione in spazi dove trascorrere momenti gradevoli con i colleghi (che è un po’ il vecchio modello Silicon-valley per far vivere le persone in agenzia) li trasformerei in spazi utili dove usufruire di servizi.

  5. La cosa che vedo più tosta è che le agenzie si preoccupino di dotare di una postazione di lavoro casalinga a spese loro. In questi mesi non mi risultano interventi in questo senso. E a voi?

    • Adesso è ancora tuta gestione di emergenza, ma quando lo smartworking verrà regolato seriamente (penso entro la fine dell’anno) vedrai che le aziende dovranno supportare i dipendenti. Poi che lo facciano anche le agenzie, non so. Il nostro settore non si è mai distinto per correttezza. Noi però stiamo ragionando in tal senso. Ti faccio un piccolo esempio: d’ora in poi acquisteremo solo portatili, anche per gli art, a cui nel caso abbiniamo monitor (non Apple), mouse e tavolette grafiche.

  6. Il cambiamento delle aziende e delle agenzie passa anche per il cambiamento del mondo esterno. La massa di junior/stagisti/e ci metto anche molti senior, non so quanto saranno felici di stare a Milano e lavorare in condivisione in casa, dato che con i prezzi di oggi è praticamente impossibile permettersi degli immobili spaziosi. Per permettere l’home-office ci vogliono delle case con prezzi calmierati e ambienti predisposti (immagina un art con schermo e tavoletta grafica in un mono o nella sua stanza).

    • Esatto. E questo porta a un altro tema: Milano saprà sopravvivere allo smartworking. Considera solo che il nostro ambiente è pieno di persone fuggite dalla provincia per vivere a Milano (me compreso) quindi è possibile che per un po’ tutti questi junior continuino a fare sacrifici. Almeno finché Milano sarà cool.

  7. I grandi gruppi come WPP potrebbero convertire alcune aree in “ostelli” aperti ad art director, motion designer, copywriter, creativi e/o clienti di città e paesi diversi, nell’ottica di generare un vero networking e cultura di gruppo.

    Se il telelavoro al momento non ha peggiorato o ucciso la creatività (possiamo valutare solo pochi mesi e creatività elaborate da team che già avevano lavorato insieme), la staticità della propria cameretta e la mancanza di relazioni de visu col tempo lo faranno.

    Poter accedere a culture diverse e conoscere persone che fanno il nostro stesso lavoro ma altrove, potrebbe solo migliorare la creatività e le strategie dei grossi gruppi (dove il network al momento è principalmente finanziario).

    I veri team non sono fatti di persone con delle skills ma di relazioni costruite soprattutto NON lavorando.

    • Condivido tutto in pieno. Infatti è una cosa che stiamo valutando anche noi. Prima però la gente deve riprendere a viaggiare 🙂

  8. Gaetano Contento

    Ok Gianni, tutto giusto. C’è solo un problema vogliamo che tutto cambi, con un contratto del lavoro datato 1960? Se la politica non supporta il cambiamento, tutto sarà in balia di decisioni d’avanguardia che non troveranno ahimè mai agio nelle regole.

  9. […] centri urbani dopo questi stravolgimenti epocali? Qualche giorno fa ho letto un interessantissimo articolo di Mizio, che mi ha fatto pensare, e che riporto qui per tua […]

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