P.S. (Pensieri Sparsi): come il viral cambierà i creativi.

Saveyourears ha dato a Enfants Terribles un bel po’ di visibilità, tanto che ci stanno contattando diverse aziende che intendono approcciare il virale o, più semplicemente, saperne qualcosa di più. Risultato: in questi giorni sto lavorando al quarto progetto non-convenzionale in meno di un anno. Ma la cosa più interessante di tutto ciò, a parte la soddisfazione naturalmente, è che mi sono reso conto che il mio cervello sta subendo una strana evoluzione, e cioè non ragiona più come una volta. O, meglio, non ragiona come quando devo fare una campagna di advertising. Esperienza e complessità a parte (per progetti viral non intendo certo i soliti banali spottini da buttare on-line), è proprio il mio approccio alla creatività che è cambiato. Sono più attento a valutare la peculiarità del target e a elaborare idee che siano per esso rilevanti. Insomma, quella del virale è un’esperienza che mi sta arricchendo professionalmente. E siccome non ritengo di essere stata una persona superficiale prima, mi sono chiesto perché questo trip sul target mi sia partito proprio adesso. La risposta che mi sono dato è questa: i progetti viral, come tutto ciò che viene veicolato in rete, è tracciabile e misurabile. Per l’advertising classico, invece, non è mai stato così. Nell’advertising ricevi un brief e guardi l’età del target solo per capire quanto l’idea possa essere originale e trasgressiva (quanto puoi spingere sull’acceleratore insomma). Tanto dopo l’approvazione e l’on-air i tuoi problemi sono finiti (test post-campagna a parte). Non capisci mai fino in fondo se la campagna è andata bene o male. Tantomeno il motivo. Primo perché ci sono i soliti mille fattori da considerare: la pianificazione è stata loffia (il cliente ha comprato una strenna Publitalia ed è finito con uno spot di alcolici fra i cartoni animati), la situazione economica è difficile (gli operai e gli stagisti fanno fatica ad arrivare a fine mese), la distribuzione ha problemi da risolvere (la strategia di vendere abitini pre-maman nei sex-shop non è risultata vincente). Secondo, perché i direttori marketing (per timore che l’agenzia chieda un aumento del fee) non sono mai chiari sui risultati (sì, abbiamo fatto un più 53% ma un -24% rispetto alle stime e solo un più 123% rispetto all’anno scorso in questo stesso periodo quando però non eravamo in campagna…), e non solo per ritrosia  (secondo me anche loro non ci capiscono un tubo). Alla fine l’unico criterio per giudicare un creativo sono sempre stati i premi (“…non ho ancora vinto a Cannes, ma ho una shortlist all’adci, 12 Key Award, 1.432 Mediastars e 423.875 targhe Bellavista). Con il virale il discorso è diverso: se la tua idea funziona, o meglio, se al tuo target piace, lo scopri subito. E sono davvero pochi i motivi che si possono trovare per giustificare la sua inefficacia: non si può dare certo la colpa all’ottusità della casalinga di Voghera (lei non è connessa a internet, ma è addormentata davanti alla tv). Chi naviga oggi in rete è il target più giovane, moderno e aperto alle novità. Non ci sono più alibi: per interessare un target così bisogna pensare a cose rivoluzionarie. Ecco perché un progetto virale mi fa sudare così tanto. Ecco perché ogni volta mi costringe a rimettere in discussione tutta la mia esperienza, prima come creativo, poi come free-lance, infine come direttore creativo. Ecco perché di progetti virali non ne voglio fare più di 5 all’anno (hai capito Valerio? ;-). Sono però convinto che il viral rappresenti una grande opportunità per la creatività italiana, che al momento è oppressa da diverse frustrazioni: un mercato asfittico che impedisce alle agenzie di rischiare e una bella dose di provincialismo delle aziende che ha procterizzato la pubblicità nazionale. Questa occasione, però, non va sprecata (siamo già in ritardo rispetto agli altri paesi). Per cui lo dico chiaro e tondo. I creativi che hanno voglia di fare virale perché vogliono fare lo spottino trasgressivo e originale per vincere qualche premietto, sappiano che sono obsoleti (sia per budget sia per esperienza non riusciranno mai a produrre campagne come quelle di The Viral Factory:  Ravenstoke e Remington per citare le ultime). I creativi che pensano che per far funzionare un progetto virale si debba spingere sul tema del sesso, sappiano che sono obsoleti (i navigatori guarderanno le tette ma non il brand dello spot, all’estero io hanno già capito ). A tutti questi creativi, insomma, consiglio l’eutanasia: è il modo migliore per sparire senza nuocere alla specie. Agli altri, invece, a tutti coloro che approcceranno il viral come veri innovatori, che sapranno cogliere questa irripetibile occasione con l’animo di chi vuole sperimentare le incredibili potenzialità di un nuovo media, ebbene, a loro auguro tutto il bene possibile. Halleluiah (non sto evangelizzando troppo, vero?).

Comment (1)

  1. Genuinely when someone doesn’t understand afterward its up to other
    people that they will assist, so here it occurs.

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