P.S. (Pensieri Sparsi): come il V-Day cambierà la percezione di internet.

A prescindere dal significato politico del V-Day organizzato da Beppe Grillo, è indubbio che la giornata di sabato è stata un’epifania sia per il mondo dell’informazione sia per quello della comunicazione italiana. Per la prima volta, infatti, la forza della rete si è palesata: il potere virtuale di un blog si è trasformato in qualcosa di reale come un centinaio di migliaia di persone. Prima di sabato i media tradizionali avevano trattato internet come se avessero di fronte un bambino promettente ma che deve fare ancora molta strada prima di maturare. Dall’8 settembre il loro giudizio è cambiato, come se si fossero resi conto che non hanno più di fronte un imberbe innocuo ma un giovane muscoloso capace di sovvertire le regole del gioco. Non so se avete comprato i quotidiani di domenica, ma è stato divertente leggere lo stupore e il senso di piazzamento di grandi firme del giornalismo davanti a un un successo di piazza, indiscutibile, organizzato solo ed esclusivamente tramite il web. Per non parlare poi dei mezzi di informazione televisiva: il loro approccio è stato goffo e patetico. Non solo hanno negato qualsiasi tipo di copertura prima dell’evento, ma hanno cercato di svilirlo con accuse ipocrite e retoriche. Ripeto: tralasciamo il significato politico, non è la sede giusta per parlarne, sto riflettendo sul fatto che il V-Day ha dato inizio a una lotta egemonica fra i media: per la prima volta la televisione, cioè chi la fa, ha avuto la consapevolezza che è a rischio il suo predominio sul pubblico.

La mia impressione è che il V-Day abbia messo a nudo un fenomeno latente ma ormai impossibile da nascondere: la segmentazione sociale del target. Da una parte c’è un pubblico passivo, quello della tv, abituato a subire programmi di qualità scadente, informazioni basate più sulla verosimiglianza che sulla verità e pubblicità urlate. Dall’altra c’è invece un pubblico attivo, capace di valutare i contenuti, addirittura ricercarli in rete, e mobilitarsi per la sua community di riferimento. Certo, il pubblico televisivo è molto più numeroso, e lo sarà sempre, ma siamo sicuri che sia anche più importante? Io credo che in molti stiano cominciando a chiederselo. La politica, secondo me, è stata la prima a darsi una risposta in tal senso: ha valutato che per lei contano di più i numeri, e quindi si è arroccata sulla tv e sul vecchio modo di comunicare. Le reazioni di Casini e degli altri sono eloquenti a proposito: Grillo è l’anti-politica (leggi “il Male”), offende i morti come Biagi (leggi “il Sacrilego”). Accuse del genere se veicolate su un blog pubblico sarebbero state smontate in un secondo da una valanga di commenti sarcastici, ma pronunciate in tv ottengono il loro scopo: colpiscono con la retorica (che è il vero linguaggio televisivo) un target fatto di vecchi, bambini e rincoglioniti assuefatti da mesi di informazione concentrata sul thriller di Garlasco, da una forma di intrattenimento che reitera le varie isole dei famosi, e dalla visione di film capolavori come “Sapore di Mare 3”. Detto questo, sono pronto a scommettere che dopo l’8 settembre i politici golosi del successo di Grillo faranno a gara per aprire i loro blog, e falliranno ingenuamente, perché, anche di questo ne sono certo, non capiranno che internet a differenza della televisione si basa sui contenuti.  Ma anche le aziende stanno mettendo in dubbio il primato della tv. Me ne rendo conto quotidianamente frequentando le sale riunioni dei direttori marketing. La settimana scorsa ero in riunione organizzata da un brand molto importante: il management ha deciso, per la prima volta, di spostare tutti i suoi investimenti pubblicitari dagli spot al web (e non sto parlando di riduzione: sto dicendo che quello che investiva prima in tv dal prossimo anno lo metterà su internet). La loro scelta non fa una grinza: hanno capito che per il loro target, giovane e metropolitano, internet funziona di più (ne hanno avuto la dimostrazione durante l’ultimo progetto che abbiamo fatto insieme), perché sul web possono trovare persone con comportamenti d’acquisto più dinamico, oltre che i trend setter, e cioè quelli che i consumi li orientano. La cosa però che mi auguro più di tutte è che sul cambiamento epocale che abbiamo davanti si stiano interrogando gli uomini di comunicazione. Spero che considerino le potenzialità commerciali dei due  differenti target (tv e internet), ma soprattutto valutino le prospettive che abbiamo davanti. Da una parte continuare a insistere sugli spot, consapevoli che le idee che concepiamo e facciamo approvare con tanta fatica, si scontrano con l’apatia e l’ignoranza di gente paralizzata davanti al video, oppure sforzarsi di trovare forme nuove di comunicazione per intrigare un target che è costantemente alla ricerca di novità, contenuti e creatività. Personalmente la mia scelta l’ho fatta, tanto che per me oggi pensare a una campagna stampa o televisiva non è  gratificante come qualche anno fa, almeno se non riesco a integrarla con media non convenzionali o con internet.

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